E così il Cominc Sans è stato dichiarato il font più leggibile per i dislessici.

Una grande e inaspettata rivincita, la sua.

Che piaccia o no, questo font semplifica la vita di alcune persone che hanno una difficoltà e, nella società di oggi che si mostra fiera paladina dell’inclusività, non possiamo non tenerne conto.

Probabilmente qualche grafico si sarà svegliato con l’orticaria quando è uscita la notizia, ma è importante fare una riflessione che vada oltre i gusti personali in questo caso.

Ormai lo sappiamo: l’attenzione è la merce di scambio principale online. Oltre alla soglia ridotta della nostra attenzione dobbiamo fare i conti anche con le difficoltà di ognuno di noi, la dislessia è una difficoltà di alcuni, certo, ma va considerata.

Le mie ultime settimane di lavoro sono state una maratona, di quelle dove l’arrivo non si materializza mai, eppure eri ben allenato..

In queste settimane ogni notizia, ogni post, ogni email.. tutto ciò che nelle prime 3 parole non aveva qualcosa che mi serviva finiva automaticamente in una cartellina del mio cervello chiamata “per quando avrò più tempo”.

Ora, immaginate di essere una persona che, oltre ad avere poco tempo, fa anche fatica a leggerlo quel contenuto.. da impazzire, no?

Ecco: abbiamo una parziale soluzione nell’utilizzo del Comic Sans.

Ora andiamoci piano, non dobbiamo utilizzarlo sempre e ovunque, ma va preso in considerazione perché in alcuni contesti potrebbe essere un ottimo alleato.

L’inclusività oggi, nel 2022, deve essere nelle nostre menti, nella pianificazione dei brand.. perché è il futuro.

Se non ci impegniamo per comprendere le nuove generazioni ci allontaniamo dai consumatori di domani, dalle persone che formeranno la società in cui -si spera- i nostri brand vivranno in futuro.

Ora vi racconto un episodio di qualche mese fa.

Siamo alla motorizzazione, è ora del rinnovo patente. Sono in attesa fuori, davanti alla portineria.

La portinaia, il cui ruolo -poverina- è un piuttosto noioso e ripetitivo, fornisce diligentemente le informazioni all’arrivo di nuove persone fino a quando una signora di circa 70 anni esce dallo stabile e inizia una discussione piuttosto accesa proprio con lei.

La signora, che si auto-definisce ‘anziana’, era risentita perché i pagamenti per il rinnovo patente devono essere obbligatoriamente fatti online “perché qua adesso sono tutti che programmano con il computer” e loro fanno fatica, devono chiedere al nipote e insomma “fammi un bollettino che vedo in posta e pago e mi arrangio”.  La sua argomentazione, dai toni e dalle parole usate, poteva titolare “Allora ditelo, muori e lascia spazio ai giovani” (parole sue!).

Tralasciando il modo, sia della signora che della ragazza, in cui è stato gestito lo sfogo, la vicenda mi ha innescato un pensiero che si collega al discorso sull’inclusività che facevamo prima.

Si, perché spesso quando parliamo di inclusività pensiamo solo ai giovani e alle differenze di genere, ma anche gli anziani sono una categoria spesso maltrattata dalla nostra società.

Pensateci un momento.. la nostra società penalizza gli anziani?

Non facendo –ancora– parte di quella categoria non lo sappiamo, eppure episodi come questo mi fanno pensare che sia proprio così. Nel tentativo di semplificare la gestione del processo penalizzi una categoria di persone che per legge tornerà al rinnovo patente più spesso delle altre, e non permetti a quelle persone di essere autonome nel prendersi cura delle loro cose.

 

“Ma quindi Chiara, stai dicendo che sei contro la digitalizzazione e che era meglio il bollettino?” No, ma dico che se cambi una regola devi anche dare la possibilità a tutti di rispettare quella nuova.

 

Ad esempio: anziché lasciare la portineria (vi garantisco che faceva poco lì oltre ad annoiarsi, era sostituibile con dei banner con le indicazioni di dove andare per quale servizio) forniscile un tablet e mettila in sala d’attesa all’interno, ad aiutare le persone a fare il pagamento.

È un esempio, può non essere fattibile per molte ragioni, ma delle alternative al “torna quando avrai pagato online e non mi interessa come fai a farlo” dovranno pur esserci, no?

Ecco, quando parlo di inclusività parlo anche di questo: la società e le aziende non possono non pensarci.

Tornando ai giovani vi riporto un’altra riflessione, se avete voglia di leggerla ;))

Qualche tempo fa leggevo un articolo sul tema dell’inclusività rapportato alle campagne pubblicitarie, raccontava i casi di Barbie e le sue collaborazioni con alcuni brand di moda, interessanti e stimolanti come azioni promozionali, ma il tutto mi ha spinta ad una riflessione…

Come genitori oggi abbiamo una responsabilità enorme, e un compito davvero difficile: riuscire a far crescere i nostri figli con la mente aperta, senza trasmettere loro troppe opinioni personali.

La società di oggi è molto diversa da quella in cui sono cresciuti i miei genitori, ed è diversa anche da quella in cui sono cresciuta io: è molto più aperta, globalizzata, inclusiva appunto. Ma non essendo cresciuta in una società così, non è facile capire cosa significhi fino in fondo per una bimba, per una ragazzina.

Esempio, magari banale eh.. belle le Barbie transgender, ma dovrò spiegargliele in qualche modo? Come? O semplicente il solo fatto di averle, di vederle, le permetterà di avere riferimenti diversi e più inclusivi di quelli che ho avuto io?

Altro esempio: avete presente quella fotografia dell’uomo transgender incinta (utilizzata anche come campagna pubblicitaria)?  Ecco, se lei un domani mi chiedesse se gli uomini possono fare bambini, io d’istinto risponderei di no. Ma probabilmente sbaglierei. Sarebbe un insegnamento limitante?

Sono seria: mi ritrovo spesso a chiedermi cosa e come dovrei relazionarmi con lei su certe tematiche.. Al di là delle scelte che ognuno fa per sé stesso, delle decisioni che si possono prendere.. magari tra 15 anni quando mia figlia sarà adolescente di situazioni come questa ce ne saranno molte e non si noteranno più.. quindi dovremmo abituarci anche a costruire un nuovo modo di dialogare e di rapportarci a determinate tematiche.

Sbaglio? Mi faccio forse troppe paranoie?

Non lo so, ma so che domande come queste dovrebbero stare anche nella mente dei brand, se vogliono lavorare per il futuro.

Nel nostro piccolo come agenzia di comunicazione in Gingernlemon ci proviamo, e so che non è facile: è complesso imparare a scrivere nel modo giusto, ad utilizzare frasi corrette, terminologie.. ma è difficile anche pensare di rendere un progetto inclusivo a tutto tondo.. però, il fatto che sia difficile non ci impedisce di pensarci, di andare per gradi, di imparare. No?

 

Come tutti, del resto, no?

Eh si, perché inflazione, incertezza e malcontento porteranno inevitabilmente ad un calo nelle vendite, ad una maggiore attenzione del consumatore nella gestione del denaro.

L’aumento dei prezzi dell’energia e del gas ci renderà meno sereni e la stagione Natalizia subirà dei tagli importanti per la maggior parte delle famiglie.

E già ci sembra di sentirli, vero?

“Eh ma è colpa di Facebook, ormai è morto non ha più senso investirci”

“Bisogna tagliare l’advertising, non serve a nulla ormai è una spesa superflua”

“Si lo shop online ha funzionato, ma è stata solo una moda per il covid..”

 

E lo dirà a gran voce chi ha cominciato da cinque minuti, ma anche chi queste attività le fa da tempo.. lo diranno, magari, quando le vendite caleranno nonostante loro abbiano mantenuto l’investimento invariato; e lo diranno anche quando le vendite saranno uguali allo scorso anno, perché avrebbero dovuto crescere.

E noi..? Sopporteremo, cercando di fare informazione e continuando a ripetere una cosa che deve entrare nella testa di tutti gli imprenditori: il periodo storico in cui viviamo e ciò che succede nella nostra società al di fuori dell’azienda incide enormemente nelle dinamiche di vendita e di ciclo di vendita, e quindi nella vita dell’azienda stessa.

 

Non si può fare l’imprenditore guardando solo dentro, così come non si può farlo guardando solo fuori: dobbiamo avere una vista prospettica e osservare sia il mondo che ci circonda che la nostra impresa.

 

Perché? Perché le imprese sono fatte di persone!

E dove vivono le persone? Nella società.

E quindi.. che famo?

Anche se sarà difficile, anche se sarà noioso, andremo avanti con la nostra personale lotta alla disinformazione, contro chi si improvvisa esperto, tendendo sempre le mani ai clienti per guidarli fuori dalla tempesta. Ne abbiamo viste negli ultimi anni, no?

Ultimamente mi rendo conto di quanto sia complicato mantenere alta la motivazione, e questo succedere proprio perché siamo ‘semplici’ esseri umani. Così come si stanchiamo in qualità di clienti e follower di alcuni brand e personaggi, ci annoiamo di ciò che viene fatto da e per la nostra azienda. Vedo imprenditori che si alzano una mattina convinti che una certa strategia non funzioni più, o che non porti risultati.

Siamo tutti troppo abituati alle soluzioni rapide, veloci, magiche e senza fatica. Ma non si perde peso in dieci giorni senza conseguenze, non si arreda su misura in pronta consegna e non si crea un business da centinaia di migliaia di euro in una settimana e senza investimenti.

Dobbiamo riappropiarci del nostro tempo come persone e professionisti, ritrovando anche quella calma che serve nella gestione delle relazioni, perché l’uomo è prima di tutto un animale sociale.

Non scrivo su questo blog da moltissimo tempo, ma oggi sentivo il bisogno di far uscire un po’ di parole.

Oggi è una giornata di sole, ma tutto attorno sembra grigio e spento. È il giorno in cui è iniziata l’invasione in Ucraina, e tutto sembra surreale.

Non è questo lo spazio in cui dibattere queste tematiche, lo so, e non ho intenzione di farlo, ma era giusto contestualizzare anche il perché ho deciso di tornare dopo tanto.

Da diversi mesi rifletto sulla possibilità di avviare, tramite il mio sito, blog e canali social, un servizio di promozione specifico per piccole imprenditrici, che abbiano voglia di avviare o migliorare il loro business nel digitale.

Durante questi mesi di riflessione ho pensato più volte all’importanza di una comunicazione corretta, coerente, trasparente e finalizzata alla crescita e all’apprendimento, perché troppo spesso ‘noi del digital’ veniamo visti come quelli che si nascondo dietro a paroloni e inglesismi spesso non necessari. Ed è da qui, e dalle richieste che mi arrivano, che nasce la voglia di creare un percorso specifico, dedicato a professioniste e piccole imprenditrici, dalla voglia di creare competenza attorno ad un settore che è maltrattato da tutti, spesso anche da chi già ne fa parte. E parallelamente dal desiderio di creare connessioni tra donne, perché troppo spesso ci facciamo lo sgambetto l’una con l’altra anziché tenderci la mano. Io invece credo molto nella solidarietà e nella forza della sinergia che si crea in un rapporto tra donne, anche di lavoro.

E oggi, giornata in cui il ruolo dell’informazione e dei canali digitali viene rimesso al centro, per l’ennesima volta in questi anni di Covid-19, non potevo più fermare il flusso di coscienza: ho deciso di rimettermi a scrivere.

Oggi scrivo per me, per rimettermi in riga, con l’obiettivo di tornare a scrivere continuativamente per cercare di trasmettere informazioni affinché il Digital non sia più considerato quel posto dove puoi fare quello che ti pare, tanto..

Ma, dicevo, oggi scrivo per me.

Sono stati anni.. duri. Pur sapendo perfettamente che le tempeste che stavamo attraversando erano vere e proprie tormente, ne sto iniziando a comprendere la portata solamente ora. Anni in cui a farla da padrone sono state la paura e l’incertezza. Anni circondati da morte, da dolore, da colpi pesanti.

Eppure la luce c’è stata: Olivia. Arrivata in un momento buio a portare la luce e ridimensionare tutto. Da quando sono diventata mamma sono cambiate molte cose, più di quante immaginassi.

Il mio livello di pazienza, ad esempio. Con lei riesco ad avere una pazienza incredibile, che non ho mai avuto in nessun altro aspetto della mia vita. E questo mi sta insegnando moltissimo, ed è utile anche nel mondo del lavoro. Mi sta insegnando a rispettare il Tempo. E che il tempo, richiede tempo.

 

..Uh che pesantezza questo articolo, me ne rendo conto, ma oggi è una di quelle giornate lì. E poi sono talmente fuori-fase che la mia mente salta continuamente da un tema all’altro, devo allenarmi a mantenere il focus.

 

Essere genitore ha rimesso in discussione le mie priorità attribuendo un valore diverso alle cose, anche alle azioni di comunicazione e di marketing. Perché ci sono momenti in cui vorremmo dire mille cose, schierarci e dire la nostra su ogni avvenimento, ma spesso in quei momenti la sola cosa da fare è tacere, aspettare, respirare. E rispettare.

Oggi il potere e la forza della condivisione attraverso i social e il digitale sono ancora una volta al centro delle dinamiche di relazione umane e non possiamo far finta che non siano importanti per il nostro futuro. Dobbiamo imparare a conoscere gli strumenti che abbiamo a disposizione e ad utilizzarli bene, sia come individui che come professionisti e aziende.

Spesso il mio lavoro viene scambiato per l’IT-GUY, ce l’avete presente? L’amico smanettone che chiamavi perché non ti si accendeva il pc, o il tostapane.. Ecco, negli ultimi mesi in tanti tra parenti e amici mi hanno implorato di risolvere i loro problemi con account instagram bloccati, pagine facebook irrecuperabili, programmi da installare, email da configurare.. tutto quello che riguarda la tecnologia viene messo in un unico grande calderone.

Mettendo da parte la mia frustrazione e rassegnazione data dall’essere considerata ‘quella dei computer’ in famiglia, la mia riflessione riguarda il ruolo di responsabilità che abbiamo nell’utilizzare questi ‘nuovi’ mezzi di comunicazione. 

Guardo mia figlia e penso a quanto sarà difficile insegnarle che online ci sono cose a cui non deve credere. Il ruolo delle fake news, della propaganda politica, della divulgazione scientifica e della comunicazione digitale nella società di oggi è centrale, come nelle vite di tutti noi.

Abbiamo il dovere, nei nostri settori di competenza, di rispettare le nuove generazioni:

  • dobbiamo creare consapevolezza intorno a questi strumenti;
  • dobbiamo diffondere informazioni verificate;
  • non dobbiamo farci prendere la mano onlinem solo perché nascosti da uno schermo;
  • dobbiamo metterci la faccia e rispettare  – sempre – chi c’è dall’altra parte;
  • dobbiamo smettere di scindere la nostra realtà offline dal mondo digitale, come fossero due cose distinte;
  • dobbiamo agire online come lo faremmo realmente, con attenzione, con competenza sul lavoro, con rispetto nelle relazioni.

 

La trasformazione a cui stiamo assistendo con la blockchain, le criptovalute, la realtà virtuale, il metaverso, tutto ci sta dimostrando che sempre più ciò che facciamo nel mondo digitale influisce sul reale e rispecchia chi siamo.

Quindi, ancora una volta, è una questione di scelte. La vita è fatta di scelte, più o meno difficili. Come la mia di oggi: tornare a scrivere i miei pensieri in un mondo duro, crudo, cattivo. In un contesto in cui c’è ben altro da leggere che le mie parole, ma magari a qualcuno servono, magari qualcuno aveva bisogno di non sentirsi l’unico sfasato (sempre presente per non farvi sentire soli in questa cosa). O forse, semplicemente, servivano solamente a me.

Eh.. Ma voi non siete un po’ stanchi?

Di questo continuo dover apparire, mettersi in mostra. Di tutte queste persone, in qualsiasi settore, che si improvvisano Guru di Qualcosa e ti dicono che per riuscirci ‘basta volerlo davvero’ che se ‘vuoi puoi’. Che al giorno d’oggi ci sono miliardi di possibilità, di vita e di lavoro, e che siamo così fortunati.

Si, ok, ma basta però.

La verità è che per arrivare da qualche parte, devi sudare.
Devi impegnarti, faticare, studiare, studiare, studiare, provarci, fallire, ri-provarci e probabilmente ri-fallire.

Nulla arriva in attimo, in modo facile-facile. Tutto richiede impegno, sacrificio.

È tutto diverso rispetto a quando i nostri genitori avevano la nostra età.
(Ma va’?)

Ad un trentenne oggi la società si presenta con due facce.

Una è quella in cui tutto gli è concesso: vivere ancora a casa dei genitori, non avere un lavoro stabile, non avere idea di cosa fare nella vita, continuare a frequentare università all’infinito pur di non affrontare il problema e vivere sotto l’ala dei genitori che, siccome vorrebbero il meglio per noi e vedono la differenza totale rispetto a quando erano giovani loro, continuano a giustificare le nostre non scelte e quindi va bene così.

La società ci dice che è normale, che poverini siamo confusi dalle mille opportunità. Che siamo in difficoltà perché non c’è lavoro. Che siamo già bravi ad essere rimasti in Italia perché con un Paese così che non ti aiuta è normale che i giovani scappino all’estero.

L’altra è quella opposta.
Quella che dice che a trent’anni il lavoro devi averlo, sicuro e stabile. Dovresti anche avere già dei figli (andiamo, ancora non hai fatto famiglia?) e ovviamente una relazione stabile e un tetto (di proprietà!) sulla testa. Un mutuo trentennale, una cerchia di amici ristretta (ma buona!) con cui ubriacarti sporadicamente, una squadra di calcetto e qualche cliché tipo il macchinone e/o l’amante.

Non so a voi, ma a me entrambe le alternative fanno schifo, come se fossimo tutti raggruppabili in due categorie: scappati di casa o padri di famiglia.

Mia madre non molto tempo fa mi ha detto:

‘perché avere una casa di proprietà, per lasciarla un domani ai figli? Sai qual è la cosa più importante che puoi dare un domani ai tuoi figli? I tuoi Valori, l’Educazione, l’Amore.. e cercare di insegnargli a vivere la vita, che è difficilissimo’.

I trent’anni non sono una linea di demarcazione e non c’è un giusto modo per arrivarci.

Famiglia, figli, matrimonio.. possono non essere l’obiettivo di tutti o semplicemente c’è chi ancora non ha trovato la persona giusta. E visto che oggi possiamo scegliere, per amore, perché dovremmo accontentarci?

Facciamo sempre il paragone con il passato, ma ci dimentichiamo alcune cose però. Una volta tante persone sacrificavano loro stesse per ‘fare la cosa giusta’.

Tante erano le coppie ‘felicemente spostate’ e con figli in cui Lui era segretamente omosessuale, o in cui lo era lei. Un tempo non era concesso Amare semplicemente un’altra Persona, per la sua anima.

Quante famiglie cresciute dentro a litigi, silenzi strazianti e divorzi (che si riversavano inevitabilmente sui figli)?
E quante persone non si sono mai nemmeno chieste ‘cosa è giusto per me?’ ma hanno proseguito il loro cammino senza voltarsi, forse perché non hanno avuto nemmeno la possibilità di pensare?

Un po’ come quelli a cui sento dire ‘eh una volta non prendevamo mica tutti questi integratori’ o ‘una volta mica prendevo le medicine per la febbre’ o ‘mia nonna non ha mica partorito in ospedale con tutti sti medici, una volta le cose si facevano in casa’ o ancora ‘e tutta sta attenzione a cosa mangiano i bambini.. una volta i miei nonni mica avevano il latte apposito, mangiavano quello che c’era e stavano così bene’.

Si ok, ma che aspettativa di vita c’era una volta? E che qualità della vita avevano?

Dai su, siamo onesti, i paragoni vanno fatti con criterio altrimenti perdono di significato.

Certo, siamo una generazione incasinata. Ma ormai ci siamo in mezzo, tanto vale ballare, no?

Il problema è che tra mille possibilità ipotetiche e pochissime offerte reali e concrete non sappiamo come e dove muoverci.

Il mondo ci vuole milionari, a noi basterebbe arrivare serenamente a fine mese.

Il nostro Paese ci vuole intraprendenti, forti, ma imbrigliati dentro precise idee. E quelli di noi che ci provano davvero, restano incastrati tra un problema burocratico e la montagna di tasse e cose da pagare che ci chiedono, e a fine anno sei lì a domandarti se davvero ti conviene. (No, non lo so).

Ci sto arrivando anche io, ai trent’anni.

E non so di che categoria faccio parte onestamente. Perché pur avendo un lavoro abbastanza stabile non sono sicura che sarà il mio lavoro per la vita e sono, al contrario, certa che nella vita di esperienze voglio farne ancora tante perché ho sete e fame: di vita, posti, opportunità, tentativi. Non mi sento completa come persona, magari non lo sarò mai, ma questo non vuol dire che al momento attuale io non meriti considerazione, rispetto o stima da parte della società in cui vivo.

Così come chi ha scelto il posto fisso, la casa e la famiglia e magari questa scelta l’ha fatta già qualche anno fa, non va considerato come sedentario, come qualcuno che si sta ‘perdendo la vita’ o giocando gli anni migliori.

Siamo tutti diversi.

Dobbiamo accettare che ci saranno sempre persone che la penseranno in modo diverso da noi, che ognuno sceglie per se stesso.. e poi dobbiamo arrenderci.

Arrenderci al fatto che la vita ti fa sbandare da di qua a di là, che non sempre la strada è dritta e già tracciata. Che spesso facciamo delle incredibili scalate che durano anni per arrivare a valle a pochi metri dalla partenza. Dobbiamo solo imparare a goderci il tragitto accettando di poter sbagliare e nel frattempo riempire sempre di più il nostro baule, quello della vita.

E poi dai, sai che noia se tutti facessimo le stesse scelte? Non avremmo nulla da condividere, nessuna esperienza da portare agli altri.

Questo post è lungo, ricco di confidenze, di idee buttate giù alla Joyce, di pensieri che scorrono (più precisamente che ruotano, i cricetini stanno correndo all’impazzata, sarà che devono dimagrire).

Se sei arrivato fin qui probabilmente ti sei ritrovato in alcuni passaggi o ci hai riconosciuto qualcuno che conosci, o semplicemente volevi vedere come concludevo questo articolo. Beh non lo so, non c’è una conclusione, come non c’era un inizio e nemmeno uno svolgimento.

Quando si parla di vita non può esserci una traccia, giusto?

Certo i momenti in cui ti chiedi ‘ma cosa diavolo sto facendo’ ci sono – eccome – e chissà se finiranno mai.. ma alla fine è questa la vita che abbiamo.

Vorrei che la me di dieci anni fa, se esiste in qualche universo parallelo, potesse capire che della vita anche dopo 10 anni ancora non so niente, ma che va bene così.

Vorrei dirle di rallentare, di aspettare. Di non aver paura di soffrire, di scegliere con coraggio che tutto andrà bene. Vorrei dirle tante altre cose che non si possono scrivere qui, ma so che tanto non mi ascolterebbe, perché a vent’anni non ascolti nessuno e sei convinto di essere grande e di poter divorare il mondo.

Beh forse la giusta conclusione potrebbe essere questa, che più che una conclusione è un consiglio: non lasciamoci influenzare da quello che la società vorrebbe per noi. Non siamo inadeguati, non siamo sbagliati, siamo semplicemente noi stessi.

La differenza tra ieri e oggi sta nella possibilità di scegliere, di decidere per noi stessi.

E ce l’hanno regalata i nostri genitori, con le loro lotte anche piccole: mia madre (sempre lei, che nel caso aveste dubbi è uno dei miei punti fermi) ad esempio, ha lottato per potersi sposare in Comune e non in Chiesa, cosa che oggi è normale grazie anche a persone come lei che negli anni l’hanno resa tale, lottando contro le apparenze e contro la staticità della ‘normalità’.

Però, una cosa sì la dico ai trentenni e quasi trentenni di oggi: non possiamo più nasconderci.
Basta vivere come fossimo in Erasums da una vita.

Dobbiamo almeno provarci, perché fallire, anche diecimila volte, è in conto, ma rimanere fermi e non provarci nemmeno no, quello no.

E un ultima cosa: provarci non significa mettersi in proprio. Provarci significa uscire dal guscio, significa cambiare lavoro se quello attuale non ci piace, provarne altri 10 se necessario; significa cambiare città se non siamo felici dove siamo; significa uscire da una relazione che non ha futuro, significa impegnarsi per salvarla quella relazione, se un futuro invece può averlo; significa affrontare quell’esame che rimandiamo da anni; significa cominciare un nuovo percorso, di studio, di salute, di vita, se ne sentiamo il bisogno.

Insomma significa esporsi e iniziare a vivere.

Beh, con questa massima direi che possiamo finirlo, no?

Ve lo dico subito: questo è un articolo – sfogatoio.

Negli ultimi mesi le cose che mi sento dire più spesso sono:

  • Eh ma non lo sapevo
  • Eh ma chi mi ha fatto il sito non me l’ha detto
  • Eh ma chi mi ha curato i social non sapeva come fare questa cosa
  • Eh ma le sponsorizzate non me le curavano loro ma un altro
  • eh, eh, eh.

Ragazzi, cerchiamo un attimo di fermarci e fare un po’ d’ordine.

Allora, nessuno di noi sa (o può sapere) tutto, e se abbiamo un ruolo o una specialità tanto meglio, vuol dire che siamo ferratissimi in qualcosa. Ma il problema che vedo io sta proprio nella gestione del cliente.

Il nostro obiettivo principale, qualsiasi sia il nostro lavoro (designer, advertiser, copywriter … ) deve essere incentrato sulle necessità del cliente e della sua attività, e dovrebbe essere completo.

So perfettamente che chi si occupa di progettare e/o sviluppare il sito web generalmente non può occuparsi anche del suo posizionamento, però non ci si può limitare a non farlo, bisogna spiegare al cliente di cosa si tratta, perché non viene fatto, consigliare un professionista per farlo, e via dicendo.

Non possiamo limitarci a fare il nostro pezzetto perché ci pagano.

Cioè si, va bene, quello è il nostro lavoro ed è giusto essere pagati per quello, però per etica personale e professionale non possiamo non comunicare gli altri step solo perché non ci competono.

Sento sviluppatori parlare dei temi custom di WordPress come fossero il Sacro Graal, e poi non fare niente – e dico niente – lato SEO.

Vedo Social Media Manager aprire pagine Facebook e riempirle di contenuti vuoti, di nessuna utilità per l’utente.

Leggo testi bellissimi di copywriter incredibili, perfetti anche lato SEO, ma inseriti in pagine con URL completamente errate e fuori contesto e senza meta-tag inseriti.

Vedo clienti gestire siti in autonomia caricando immagini da 3mega senza alt-tag e scrivendo tutti i titoli in maiuscolo.

Insomma, vedo cose che voi umani…

E questa è solo una piccolissima parte.

Non pretendo, e non è possibile, che un Copywriter si metta a modificare i permalink di un sito WordPress, o a impostare i redirect in pagine che vengono cancellate, ne tanto meno che un Designer avanguardista si impegni in un progetto SEO, ma credo sia nostro dovere informare il cliente, fargli capire quali passaggi mancano perché il lavoro sia completo, spiegargli le cose, indottrinarlo.

È nostro dovere perché, se continuiamo a lavorare a pezzetti, non riusciremo mai a uscire dal circolo vizioso dei Cugini e dei ‘ragazzi che mi seguono il web’.

E non so voi, ma io sono stanchina di questi discorsi.

Il cliente va guidato, e mi rendo sempre più conto che questa è una delle cose di cui le persone hanno davvero, ma davvero, bisogno.

Dobbiamo far capire il valore dei progetti di comunicazione online spiegandone le varie fasi, a cosa servono e quali vantaggi o svantaggi porta all’azienda farle oppure non farle.

Abbiamo il dovere di guidare il cliente verso la soluzione più adatta alle sue necessità, per tipologia di azienda, budget a disposizione e obiettivi.

Per me questa è una delle parti più belle del nostro lavoro: far vedere e capire quanto è complesso nel suo insieme, quante sfaccettature possono esserci di una stessa medaglia.

Guidare il cliente in questa giungle dimostrandogli che la mia esperienza (e i miei errori!) mi sono serviti da bagaglio culturare per muovermi con sicurezza e destreggiarmi senza difficoltà nelle diverse fasi del progetto.

E vi assicuro che questa capacità vi viene riconosciuta.

Perché vengono continuamente assaliti da mille dubbi e perplessità:

  • perché il mio sito non si vede su google?
  • perché non ricevo nessuna richiesta di contatto?
  • ho speso soldi per l’avvio della pagina Facebook ma non ho ricevuto nessun feedback, sono sempre quelle 7/8 persone che vedono i miei post..
  • mi hanno fatto un blog ma non ci scrivo dal 2016
  • mi hanno detto di scrivere le didascalie in inglese su instagram e postare tutti i giorni, ma non so cosa metterci
  • in che senso mi chiede se ho aggiornato il sito e se qualcuno segue la manutenzione?
  • ma perché il mio sito è così lento?

Sono solo le prime che mi sono venute in mente.

Insomma, il succo del discorso è: cerchiamo di essere dei facilitatori, e non l’opposto.

Io personalmente ho scelto di farmi carico anche di problemi non miei, cercando eventualmente collaboratori al bisogno, perché mi rendo perfettamente conto che per chi ha dubbi sul significato della parola ‘dominio’ o ‘resposive’ è davvero complicato riuscire a capirci qualcosa, e io, che invece qualche parolina la mastico, sento la responsabilità di portarli sani e salvi fuori dal labirinto.

Scrivi.

Me lo ripeto ogni giorno. Scrivi.

Per imparare a farlo meglio.
Per condividere il tuo pensiero.
Per farti sentire.
Per dire la tua.
Per essere presente.
Scrivi.

Ma trovare il tempo da dedicare alla scrittura non è sempre facile e scontato.

Eppure nella mia testa è tutto meticolosamente organizzato. Dovrei:

  • leggere un’ora al giorno;
  • scrivere un’ora al giorno;
  • allenarmi un’ora al giorno;
  • studiare un’ora al giorno;
  • dedicare due ore al giorno alle passeggiate con i cani;
  • dormire almeno sette ore a notte;
  • lavorare non più di otto ore al giorno;
  • e poi il tempo per mangiare, diciamo un’ora per il pranzo e un paio d’ore per la cena;
  • e poi boom, la giornata è finita.

Se le mie giornate fossero così non parlerei con nessuno, il mio telefono non squillerebbe mai e non avrei imprevisti da gestire. Ovviamente credo che questa cosa sia SOLO nella mia mente, perché le mie giornate non hanno mai, e dico MAI, funzionato così. Ma questa è un’altra storia.

Questo è un periodo molto strano della mia vita.
Nel giro di pochi mesi sono cambiate (e stanno continuando a cambiare) tantissime cose, ma non a causa del naturale evolversi delle situazioni, ma per mie personalissime scelte.

Ho scelto di cambiare. Città, modo di lavorare, abitudini, casa.. tante cose, tutte assieme.
E adesso sono in quello strano limbo in cui devo adattarmi a tutte le novità che ho fatto entrare nella mia vita (ma non è facile), devo riuscire a mantenere comunque la lucidità e la costanza necessaria che mi servono nel lavoro (ma anche qui, non è facile) e devo assolutamente restare concentrata sullo studio e sulla mia formazione professionale che avanza inarrestabile (impresa titanica).

Il punto è che non voglio fare switch-off. Mi spiego meglio: nonostante il sovraccarico di cose, il bisogno che sento non è quello di staccare al 100% dal lavoro e da tutto e andare, che ne so, in ferie per 15 giorni a Bali (non che mi farebbe schifo, eh). Il mio lavoro mi piace e mi piace prendere nuovi progetti da gestire, organizzarmi il mio tempo (e bla, bla, bla, ne ho già parlato tanto), per cui non è lavorare che mi pesa, è il non riuscire a chiudere un po’ di cose, non riuscire a mettere il tick alle voci della mia lista insomma.

Sicuramente ci vorrà un po’ per riuscire ad avere tranquillità e serenità mentale.. qualcuno di voi ci sarà sicuramente già passato: trasloco, lavori di ristrutturazione, una vita in scatoloni diligentemente organizzati in cui però non si trova comunque un tubo; tornare a casa da lavoro e rendersi conto di non avere una casa, ma un campo di battaglia, e doversela mettere via perché:

1, la cucina che stai aspettando non arriverà prima della metà di agosto;

2, i lavori per rivestimento e pavimentazione della tua nuova cucina (e salotto) non possono essere fatti prima, perché comporterebbero il rimanere senza cucina per oltre un mese;

3, i bagni, che tu tanto avresti voluto rifare con un tocco di bacchetta magica, sono più costosi e complicati del previsto e non puoi far altro che farne uno alla volta e con tempi biblici.

Quindi, in questa situazione (di merda, si può dire?) montare mobili, mettere in ordine vestiti e pulire è utile quanto l’ultimo quadratino di carta igienica quando sei sul wc dopo colazione.

Digressioni-sfogatoio a parte, tutto questo periodo mi ha dato un bello schiaffo sotto due punti di vista:
– quanto sia dannatamente importante una routine, personale, per avviare la giornata e una quotidianità. Giusto per capirci, io ancora non so dove andare a fare la spesa nei pressi della mia nuova casa e questa settimana proverò, per la prima volta, un estetista della zona (speriamo bene!);
– quanto la vita non smetta mai, e davvero mai, di ricordati che è più forte di te. E non è sempre detto che questo sia un male eh, badate.

Direi che per oggi la smetto con gli argomenti personali e torno al mio tanto amato WordPress per continuare il montaggio di un paio di siti che devo ultimare entro la fine di questa settimana (yuppi!).

Tornerò presto a narrarvi le vicissitudini della mia ristrutturazione, non temete.

Ps, l’immagine di copertina serve solo a ricordarmi che comunque sia io in ferie ci vorrei anche andare.

Dall’inizio dell’anno vado dicendo su tutti i social che ci sono tante novità in ballo, tanti nuovi progetti e tanti cambiamenti, è arrivato il momento di svelarvene un pò!

Direi che il titolo è emblematico, e ormai è ufficiale: da Luglio mi trasferirò a Verona!

Dopo quasi 5 anni lascio Treviso, con un misto di sensazioni ed emozioni e, devo ammetterlo, con un pò l’amaro in bocca.

Treviso è una cittadina bellissima, che in questi anni mi ha dato tanto, ma allo stesso tempo è una città chiusa, mentalità ancora poco aperte e poco spazio per i giovani. E, da giovane, questa cosa non l’ho vissuta proprio bene.

Cosa porto con me di questi 4 anni?
Troppe cose. Sono stati 4 anni pieni.
Di sorrisi, di serate, di divertimento, di lavoro, di amore, di speranza. Ma anche di momenti bui, di difficoltà, di nottate insonni e di fatica, tanta fatica.

Quattro anni intensi, attraversati da momenti di fragilità totale e da momenti di felicità totale. La vita è così, non puoi essere sempre su o sempre giù, è un’altalena di emozioni.

Ora che mi sto trasferendo ripenso spesso ai primi mesi qui, quando tutto era nuovo per me, quando non conoscevo nulla di Treviso.

Ricordo la sensazione che provavo percorrendo le strade in macchina. Lo so, vi sembrerà assurdo, ma ogni tanto mi piace ricordare come erano nuove cose adesso faccio senza nemmeno rendermene conto.

Certo, avendo anche un’attività al pubblico la vita qui non è stata, probabilmente, come quella di chiunque altro. L’essere commerciante in una piccola città ti fa entrare più in profondità nel cuore della città stessa. Fai parte di quel gruppo di persone che ogni mattina si svegliano e vanno a costruirla, la città, o almeno questo è quello che ti sembra di fare.

Ma ad un certo punto arriva il momento di andare.
Io sono così, non sono particolarmente legata al luogo in cui vivo, più alle persone. E, forse per la mia età o per il mio carattere, sono continuamente alla ricerca di novità, di stimoli diversi e di cose da fare; inevitabile che dopo un pò il posto in cui vivi lo senti stretto.

Quindi si parte, direzione: Verona!

Si lo so, non vado mica tanto distante, nulla di sensazionale.
E’ vero, però Verona è molto più grande di Treviso, e ha molta più offerta (locali, teatri, cinema, negozi, ristoranti eccetera), inoltre subisce l’influenza di Milano e le possibilità lavorative sono maggiori, è innegabile.

Non mi sposto da sola, ci spostiamo tutti, negozio compreso, anche se per un pò starà in stand-by limitandosi ad essere online.

Quindi, come avrete sicuramente capito, un’altra grossa novità è che il negozio di Treviso chiude.

Chiude principalmente perché noi abbiamo deciso di spostarci. Ma se noi abbiamo scelto di spostarci è anche per una serie di motivi che derivano dalla nostra idea progettuale.

Il digitale ha portato tanti cambiamenti, e il retail sta mutando completamente il suo modo di esistere.

Il nostro obiettivo era dare un’offerta diversa, che passasse in primis dalla competenza e dalla professionalità del personale (unico vero, grande fattore di differenziazione rispetto all’online) e in secondo luogo che fosse basata su una selezione di prodotti innovativi, diversi. E ci siamo riusciti.

Claudio è un manager impeccabile, con una gentilezza, educazione e simpatia innate. Ed è grazie a queste sue qualità che si è creato un seguito di clienti che si Fidano davvero del suo gusto e del suo parere. Abbiamo creato una cornice emozionante, nel cuore della città, e i prodotti hanno fatto il resto.

Però vogliamo di più. Il nostro è sicuramente un progetto ambizioso, da sempre vorremmo aggiungere la zona Lounge, considerando che siamo entrambi appassionati del mondo Food&Beverage e vorremmo crescere di più, ma non possiamo farlo dove siamo ora.

E così Berries passerà ad una vita Digital, il nostro e commerce sarà ampliato con tutta la linea prodotti (e anche con delle novità!) in attesa di trovare una nuova location, quella Giusta.

Il secondo semestre dell’anno sarà completamente diverso dal primo, casa nuova, città nuova, nuove abitudini da costruire e tanta, tanta, tanta voglia di dare vita ai nostri progetti.

Vi racconterò nuove puntate di questa avventura, scrivere sarà anche la mia valvola di sfogo durante quel bruttissimo periodo chiamato Trasloco.

La possibilità di lavorare da casa per molti è un sogno irrealizzabile.

Essere padroni del proprio tempo e far coincidere il luogo di lavoro con il luogo in cui si vive non è sempre facile e in molte persone può disorientare e causare una scarsa produttività.

Ma come fare, quindi, per riuscire a lavorare da casa mantenendo alti livelli di produttività?

Sinceramente? Non lo so! O meglio, io posso dirmi la versione, come io imposto la mia giornata e quali limiti mentali e fisici mi impongo per riuscire a concentrarmi e soprattutto, quali dogmi ho smontato per me stessa.

Partiamo con una piccola premessa: per come la vedo io essere freelance o imprenditori equivale ad essere uno spirito libero, non è una cosa che si può imparare o, al contrario, ignorare. Sicuramente è un percorso (costante e continuo) di crescita, di autodisciplina, di accettazione. E sicuramente con il tempo si migliora e si può imparare, quello si, ad essere più disciplinati, ma lo spirito a costruirsi il proprio lavoro autonomamente, dovete sentirlo, dovete averlo.

Dunque, io lavoro nel marketing, comunicazione digitale e web design, quindi ho dei clienti, con delle richieste e delle scadenze, ma parallelamente porto avanti anche alcuni miei progetti personali e il primo ostacolo che spesso si incontra lavorando da casa è: da dove iniziare?

Normalmente io agisco per priorità. Ci sono delle scadenze temporali inderogabili che hanno un grado di priorità diverso dalle altre, e solitamente sono quelle con cui inizio la mia giornata lavorativa.

Però, ve lo dico onestamente, non sempre faccio una ‘to-do-list’ giornaliera, spesso faccio semplicemente prima a farlo e basta.

Ma torniamo a come costruirsi una routine e al problema delle distrazioni.

Prima di tutto, sfatiamo un mito, lavorare da casa non significa stare tutto il giorno in pigiama!
Se il tuo sogno è questo, sappi che il tuo grado di produttività probabilmente sarà molto basso.

Questo è sicuramente il primo consiglio che mi sento di darvi: resistete alla tentazione di rimanere in tuta tutto il giorno.

Certo, nessuno vi accuserà di alto tradimento se in alcune giornate particolarmente stressanti resterete in condizioni poco presentabili, ma nella normale quotidianità il mio consiglio è quello di agire normalmente: vestitevi! Se siete donne e abituate a farlo, truccatevi! Insomma agite come se doveste recarvi in un vostro ufficio. Le ragioni per cui dovreste farlo sono varie, la prima è sicuramente quella di (per usare un termine tecnico) darsi una svegliata! Inoltre come reagireste se vi chiedessero una Skype Call dell’ultimo minuto? (E capiterà!)

Ma la ragione per me più importante è che, una volta che sei vestito e pronto per uscire, puoi anche farlo. Significa che, se prima di iniziare voglio bere un caffè al bar, vado fuori e lo faccio, o se mi accorgo improvvisamente che mi manca l’acqua da bere, nella pausa successiva potrò uscire a prenderla. Essere pronti significa poter affrontare la giornata in qualsiasi modo evolva e dare uno schiaffo alla pigrizia, perché diciamocelo, se siamo in tuta o in pigiama le probabilità di uscire durante il giorno si riducono drasticamente e non ossigenare il cervello nemmeno una volta nell’arco della giornata non fa certo bene alla produttività!

Ed ecco che arriva il secondo consiglio: uscite! Fate una passeggiata, andate al bar, interagite con delle persone.

Questa cosa per me è molto semplice e anche un pò obbligata, avendo due cani con delle necessità impellenti la prima ossigenata del giorno scatta al suono della sveglia! Mi alzo ed esco, quasi come un automa, e vi garantisco che la maggior parte delle mattina è una cosa che non ho voglia di fare, ma quando poi sono fuori l’aria fresca mi sveglia, vedere i miei pelosi felici mi rende felice e quando rientro mi sento più carica.

Altro rito per me fondamentale: la colazione!
Sono un’amante e una sostenitrice di questo pasto, per me il più importante del giorno! Io non connetto se non faccio colazione, in più sono una di quelle persone che si svegliano con la fame, quindi è una necessità per me, e badate bene, la mia colazione non è un caffè al volo! Ho tutte le mie abitudini, di cose da bere e da mangiare, proprio perché ritengo che prendersi cura del nostro corpo sia un modo perfetto per sostenere anche la nostra mente.

Quindi, ricapitolando, i primi 3 consigli per lavorare da casa ed essere produttivi sono:

– Una passeggiata alla mattina prima di iniziare o alla prima pausa utile. Personalmente cerco di inserire anche l’attività fisica alla mattina, almeno due volte alla settimana, lo trovo energezzante, mentre allenarmi la sera è quasi uno sforzo, specialmente d’inverno. Cercate di trovare il momento più adatto a voi, ma fate il possibile per fare un pò di attività (un minimo) tutti i giorni.

– Fate una buona colazione, per dare a corpo e mente il giusto sostegno per affrontare la giornata lavorativa;

Preparatevi come se doveste recarvi in ufficio! Datevi un tono, su!

Questi tre passaggi dovrebbero consentirvi di iniziare la giornata in tranquillità, con i vostri ritmi e con le energie necessarie.

Ma come fare per evitare le distrazioni?

E cosa fare se spesso ci si ritrova a vagare per la casa in cerca di un qualcosa da fare che ci impedisca di lavorare?

Prima di tutto io dedico un luogo preciso della casa al lavoro, non lavoro in cucina o in altre stanze, ma in uno studio, questo mi consente di chiudere la porta ed estraniarmi.

Seconda cosa: dovete assolutamente imparare a conoscervi.
Ok si, sembra una frase detta a caso e senza senso, ma non è così. Imparare a conoscersi significa anche accettare che, in quanto esseri umani, abbiamo delle giornate in cui non funzioniamo.

Io per esempio, ho delle giornate in cui appena mi siedo alla scrivania mi rendo conto che di stare davanti al Mac non ne voglio sapere. Sono quei momenti in cui in mezzora si combina poco o niente, in cui si apre Facebook più del dovuto e a fare un’azione semplicissima come mandare una mail richiede un tempo infinito.

Ecco, io ho imparato a riconoscere quei momenti, ad accettare i miei limiti, a smettere di colpevolizzarmi e di accusarmi e ad imparare a sfruttarli in modo diverso.
Cosa significa? Significa che, dopo la prima mezzora buttata via, scelgo di non buttarne via altre. Mi alzo, e faccio altro. Di cose da fare chi è libero di gestire il proprio tempo ne ha sempre una montagna!

Quindi è proprio quello che faccio, gestisco il tempo in modo diverso: faccio la spesa, sistemo la casa, stiro, cucino, esco per commissioni (..) tutte cose che avrei comunque dovuto fare, ma in momenti diversi. Piuttosto di perdere tempo o essere poco produttiva, ho imparato a riorganizzarmi, e vi garantisco che funziona. Perché spesso quando non si riesce a concludere niente davanti al computer é perché la mente è sovraccarica, oppure le idee creative di cui avremmo bisogno non arrivano, o la concentrazione semplicemente non è con noi e in questi momenti fare qualcosa di manuale, distrarsi con altre cose da fare, aiuta a riportare un equilibrio.

Agendo in questo modo spesso riesco ad evitare di passare una giornata intera lì seduta con un pessimo umore e arrivare a sera con un quarto delle cose fatte, e alle volte riesco addirittura a fare tutto quanto. Perché magari, dopo aver fatto le pulizie alla mattina e cucinato a pranzo, nel pomeriggio riacquisto la concentrazione necessaria al mio lavoro e la mia produttività raddoppia. Magari sfrutto di più le ore serali in questi casi, o devo recuperare alzandomi qualche ora prima il giorno successivo, ma evito di perdere tempo.

Quindi, il consiglio forse più importante di tutto questo articolo è quello di imparare a conoscersi e a riconoscersi in certi atteggiamenti. Secondo la mia esperienza è il miglior regalo che potete fare voi stessi, accettare i vostri limiti e utilizzarli a vostro vantaggio.

E voi, cosa fate per mantenere alti i livelli di produttività lavorando da casa? Se avete altri suggerimenti o se volete condividere con me i vostri metodi scrivetemi nei commenti e ne parleremo assieme!..

Lavorare con collaboratori esterni a cui affidare un progetto personale non è sempre facile, riuscire a dare fiducia a quella persona e a ‘dargli in mano’ una nostra idea è forse una delle cose più difficili che un imprenditore deve imparare a fare.

Le difficoltà aumentano se a quel progetto si tiene particolarmente, se è fondamentale la sua crescita e la sua riuscita e se al collaboratore esterno devi affidare l’immagine e la comunicazione di tutto il progetto. Diciamo che ti tremano le gambe, ecco.

E bisogna essere onesti, alcune collaborazioni partono male e si concludono forse peggio. Non va sempre tutto bene, ma ci sono anche delle eccezioni in senso opposto: ci sono delle collaborazioni che nascono a pelle, spontaneamente e quasi per caso. Quelle, se siamo bravi nel nostro lavoro, sono le migliori in assoluto.

Come collaboratrice esterna ho la visione dalla mia parte, ma so che quando si lavora davvero assieme, tutto migliora. Ci sono però alcuni aspetti del mio lavoro che non possono non essere considerati, perché anche quando si forma una squadra è indispensabile lavorare duramente.

Il titolo di questo post dice già molto da solo, è fondamentale ogni parola:

  • Studio: non si smette mai di imparare, non si smette mai di migliorarsi. Per crescere bisogna stare al passo, su tutto, e studiare è uno degli elementi fondamentali.
  • Impegno: impegno non significa sedersi davanti al computer 24 ore su 24 (o forse anche sì, se necessario), ma mettere l’anima in ciò che si fa, prendere progetti nei quali si crede e dare il massimo.
  • Condivisione e Fiducia: le metto assieme perché acquistano ancora più forza. Perché un progetto si realizzi ci vuole condivisione, con cliente e con il team di lavoro, ma soprattutto ci vuole fiducia, l’unico vero modo per poter creare una squadra vincente.

Ed è così che le soddifsfazioni, se ci metti l’anima, arrivano, oggi ve ne racconto una in particolare.

Da alcuni mesi collaboro con un giornale online di Salute, un magazine importante di cui ho da subito sposato la filosofia, quella di condividere la ricerca medico-scientifica, l’innovazione e le terapie in campo medico con le persone esterne a questo mondo, quindi con un linguaggio adatto al pubblico.

[ Per chi fosse interessato, ecco il link a giornale: pensallasalute.com ]

Nei primi mesi di lavoro con la direttrice del giornale siamo riuscite a far crescere di molto non solo l’interazione e il coinvolgimento degli utenti, ma anche le visite al sito. Uno degli obiettivi del magazine per il 2017 era l’inclusione in Google News, considerato lo scopo di fare informazione di qualità era uno degli obiettivi più importanti.

Prima di inviare la richiesta abbiamo dovuto sistemare alcune cose sul sito e sui contenuti, quindi ci abbiamo messo qualche settimana in più del previsto per riuscire ad avere tutto pronto, con qualche sacrificio maggiore sia a livello economico sia di impegno, non potevamo permetterci errori.

Precisazione: non potevamo permetterci errori perché la precedente gestione della comunicazione del giornale aveva già tentato due volte l’inclusione, che era sempre stata rifiutata. Dovevamo quindi essere più sicuri possibili che tutto andasse a buon fine, altrimenti avremmo dovuto aspettare alcuni mesi per ritentare nuovamente.

Per quelli di voi che si stanno chiedendo quali cose abbiamo dovuto sistemare e come si fa a richiedere l’accesso a Google News, sappiate che sto preparando una mini guida sull’argomento che renderò disponibile molto presto, nel frattempo potete leggere le linee guida che Google stesso fornisce a questo link.

Ad ogni modo, ci siamo impegnate nella preparazione del giornale perché fosse tutto perfetto, e oggi è arrivata la conferma: la richiesta è stata accettata!

E’ così bello quando si riesce a far raggiungere un obiettivo ad un cliente, perché in realtà diventano i tuoi obiettivi.

E’ proprio così, quando c’è fiducia da entrambe le parti, e ci si affida davvero condividendo chiaramente e da subito gli obiettivi importanti, si crea una sinergia tale da formare una squadra.

Ed è bellissimo condividere i risultati assieme, insomma, un bel regalo di Natale!..

Se siete interessati a ricevere la guida su Google News appena sarà pronta, lasciate la vostra mail qui sotto!

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