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Ma voi non siete un po’ stanchi?

Eh.. Ma voi non siete un po’ stanchi?

Di questo continuo dover apparire, mettersi in mostra. Di tutte queste persone, in qualsiasi settore, che si improvvisano Guru di Qualcosa e ti dicono che per riuscirci ‘basta volerlo davvero’ che se ‘vuoi puoi’. Che al giorno d’oggi ci sono miliardi di possibilità, di vita e di lavoro, e che siamo così fortunati.

Si, ok, ma basta però.

La verità è che per arrivare da qualche parte, devi sudare.
Devi impegnarti, faticare, studiare, studiare, studiare, provarci, fallire, ri-provarci e probabilmente ri-fallire.

Nulla arriva in attimo, in modo facile-facile. Tutto richiede impegno, sacrificio.

È tutto diverso rispetto a quando i nostri genitori avevano la nostra età.
(Ma va’?)

Ad un trentenne oggi la società si presenta con due facce.

Una è quella in cui tutto gli è concesso: vivere ancora a casa dei genitori, non avere un lavoro stabile, non avere idea di cosa fare nella vita, continuare a frequentare università all’infinito pur di non affrontare il problema e vivere sotto l’ala dei genitori che, siccome vorrebbero il meglio per noi e vedono la differenza totale rispetto a quando erano giovani loro, continuano a giustificare le nostre non scelte e quindi va bene così.

La società ci dice che è normale, che poverini siamo confusi dalle mille opportunità. Che siamo in difficoltà perché non c’è lavoro. Che siamo già bravi ad essere rimasti in Italia perché con un Paese così che non ti aiuta è normale che i giovani scappino all’estero.

L’altra è quella opposta.
Quella che dice che a trent’anni il lavoro devi averlo, sicuro e stabile. Dovresti anche avere già dei figli (andiamo, ancora non hai fatto famiglia?) e ovviamente una relazione stabile e un tetto (di proprietà!) sulla testa. Un mutuo trentennale, una cerchia di amici ristretta (ma buona!) con cui ubriacarti sporadicamente, una squadra di calcetto e qualche cliché tipo il macchinone e/o l’amante.

Non so a voi, ma a me entrambe le alternative fanno schifo, come se fossimo tutti raggruppabili in due categorie: scappati di casa o padri di famiglia.

Mia madre non molto tempo fa mi ha detto:

‘perché avere una casa di proprietà, per lasciarla un domani ai figli? Sai qual è la cosa più importante che puoi dare un domani ai tuoi figli? I tuoi Valori, l’Educazione, l’Amore.. e cercare di insegnargli a vivere la vita, che è difficilissimo’.

I trent’anni non sono una linea di demarcazione e non c’è un giusto modo per arrivarci.

Famiglia, figli, matrimonio.. possono non essere l’obiettivo di tutti o semplicemente c’è chi ancora non ha trovato la persona giusta. E visto che oggi possiamo scegliere, per amore, perché dovremmo accontentarci?

Facciamo sempre il paragone con il passato, ma ci dimentichiamo alcune cose però. Una volta tante persone sacrificavano loro stesse per ‘fare la cosa giusta’.

Tante erano le coppie ‘felicemente spostate’ e con figli in cui Lui era segretamente omosessuale, o in cui lo era lei. Un tempo non era concesso Amare semplicemente un’altra Persona, per la sua anima.

Quante famiglie cresciute dentro a litigi, silenzi strazianti e divorzi (che si riversavano inevitabilmente sui figli)?
E quante persone non si sono mai nemmeno chieste ‘cosa è giusto per me?’ ma hanno proseguito il loro cammino senza voltarsi, forse perché non hanno avuto nemmeno la possibilità di pensare?

Un po’ come quelli a cui sento dire ‘eh una volta non prendevamo mica tutti questi integratori’ o ‘una volta mica prendevo le medicine per la febbre’ o ‘mia nonna non ha mica partorito in ospedale con tutti sti medici, una volta le cose si facevano in casa’ o ancora ‘e tutta sta attenzione a cosa mangiano i bambini.. una volta i miei nonni mica avevano il latte apposito, mangiavano quello che c’era e stavano così bene’.

Si ok, ma che aspettativa di vita c’era una volta? E che qualità della vita avevano?

Dai su, siamo onesti, i paragoni vanno fatti con criterio altrimenti perdono di significato.

Certo, siamo una generazione incasinata. Ma ormai ci siamo in mezzo, tanto vale ballare, no?

Il problema è che tra mille possibilità ipotetiche e pochissime offerte reali e concrete non sappiamo come e dove muoverci.

Il mondo ci vuole milionari, a noi basterebbe arrivare serenamente a fine mese.

Il nostro Paese ci vuole intraprendenti, forti, ma imbrigliati dentro precise idee. E quelli di noi che ci provano davvero, restano incastrati tra un problema burocratico e la montagna di tasse e cose da pagare che ci chiedono, e a fine anno sei lì a domandarti se davvero ti conviene. (No, non lo so).

Ci sto arrivando anche io, ai trent’anni.

E non so di che categoria faccio parte onestamente. Perché pur avendo un lavoro abbastanza stabile non sono sicura che sarà il mio lavoro per la vita e sono, al contrario, certa che nella vita di esperienze voglio farne ancora tante perché ho sete e fame: di vita, posti, opportunità, tentativi. Non mi sento completa come persona, magari non lo sarò mai, ma questo non vuol dire che al momento attuale io non meriti considerazione, rispetto o stima da parte della società in cui vivo.

Così come chi ha scelto il posto fisso, la casa e la famiglia e magari questa scelta l’ha fatta già qualche anno fa, non va considerato come sedentario, come qualcuno che si sta ‘perdendo la vita’ o giocando gli anni migliori.

Siamo tutti diversi.

Dobbiamo accettare che ci saranno sempre persone che la penseranno in modo diverso da noi, che ognuno sceglie per se stesso.. e poi dobbiamo arrenderci.

Arrenderci al fatto che la vita ti fa sbandare da di qua a di là, che non sempre la strada è dritta e già tracciata. Che spesso facciamo delle incredibili scalate che durano anni per arrivare a valle a pochi metri dalla partenza. Dobbiamo solo imparare a goderci il tragitto accettando di poter sbagliare e nel frattempo riempire sempre di più il nostro baule, quello della vita.

E poi dai, sai che noia se tutti facessimo le stesse scelte? Non avremmo nulla da condividere, nessuna esperienza da portare agli altri.

Questo post è lungo, ricco di confidenze, di idee buttate giù alla Joyce, di pensieri che scorrono (più precisamente che ruotano, i cricetini stanno correndo all’impazzata, sarà che devono dimagrire).

Se sei arrivato fin qui probabilmente ti sei ritrovato in alcuni passaggi o ci hai riconosciuto qualcuno che conosci, o semplicemente volevi vedere come concludevo questo articolo. Beh non lo so, non c’è una conclusione, come non c’era un inizio e nemmeno uno svolgimento.

Quando si parla di vita non può esserci una traccia, giusto?

Certo i momenti in cui ti chiedi ‘ma cosa diavolo sto facendo’ ci sono – eccome – e chissà se finiranno mai.. ma alla fine è questa la vita che abbiamo.

Vorrei che la me di dieci anni fa, se esiste in qualche universo parallelo, potesse capire che della vita anche dopo 10 anni ancora non so niente, ma che va bene così.

Vorrei dirle di rallentare, di aspettare. Di non aver paura di soffrire, di scegliere con coraggio che tutto andrà bene. Vorrei dirle tante altre cose che non si possono scrivere qui, ma so che tanto non mi ascolterebbe, perché a vent’anni non ascolti nessuno e sei convinto di essere grande e di poter divorare il mondo.

Beh forse la giusta conclusione potrebbe essere questa, che più che una conclusione è un consiglio: non lasciamoci influenzare da quello che la società vorrebbe per noi. Non siamo inadeguati, non siamo sbagliati, siamo semplicemente noi stessi.

La differenza tra ieri e oggi sta nella possibilità di scegliere, di decidere per noi stessi.

E ce l’hanno regalata i nostri genitori, con le loro lotte anche piccole: mia madre (sempre lei, che nel caso aveste dubbi è uno dei miei punti fermi) ad esempio, ha lottato per potersi sposare in Comune e non in Chiesa, cosa che oggi è normale grazie anche a persone come lei che negli anni l’hanno resa tale, lottando contro le apparenze e contro la staticità della ‘normalità’.

Però, una cosa sì la dico ai trentenni e quasi trentenni di oggi: non possiamo più nasconderci.
Basta vivere come fossimo in Erasums da una vita.

Dobbiamo almeno provarci, perché fallire, anche diecimila volte, è in conto, ma rimanere fermi e non provarci nemmeno no, quello no.

E un ultima cosa: provarci non significa mettersi in proprio. Provarci significa uscire dal guscio, significa cambiare lavoro se quello attuale non ci piace, provarne altri 10 se necessario; significa cambiare città se non siamo felici dove siamo; significa uscire da una relazione che non ha futuro, significa impegnarsi per salvarla quella relazione, se un futuro invece può averlo; significa affrontare quell’esame che rimandiamo da anni; significa cominciare un nuovo percorso, di studio, di salute, di vita, se ne sentiamo il bisogno.

Insomma significa esporsi e iniziare a vivere.

Beh, con questa massima direi che possiamo finirlo, no?